E' con grande piacere che iniziamo la pubblicazione di alcuni estratti del diario di viaggio di Massimo Bani. Amico e traduttore (traduttorefirenze.it), insieme a Filippo Martelli, nel 2008 partono dall'Italia. Accompagnamoli nel loro viaggio tutto in treno dall'Italia a Mosca e poi sulla mitica Transiberiana. Oggi la prima parte: sediamoci in treno e dall'Italia arriviamo fino alle porte di Mosca.
Uno
Mosca. Raggiunta in treno passando per Budapest e Kiev.
Da Firenze fino in Ucraina godo della compagnia di Marco. Un amico che deve raggiungere una sua conoscente a Kiev. Marco ha paura di volare, perciò è ben contento di unirsi a me, che invece viaggio in treno per scelta.
La tratta da Venezia a Budapest è un tormento: caldo, treno molto sporco e rumoroso, oltre che praticamente senza acqua. A ogni passaggio di frontiera in piena notte la polizia doganale ci sveglia per controllare i passaporti, una tortura. La mattina passiamo accanto al lago Balaton, osservando la tranquilla e piacevole vita di villeggiatura che si fa da queste parti in estate.
Alla fermata precedente la stazione centrale di Budapest salgono dei giovani che percorrono tutto il treno chiedendo se c’è qualcuno che ha bisogno di ospitalità. Io un contatto per passare la notte ce l’ho: la sorella di un’amica, che però se l’è tirata alquanto fino a ora e mi ha fatto passare il sentimento. Questi studenti sembrano onesti, perciò decidiamo di accettare la loro proposta di passare la notte presso gli alloggi dell’università, vuoti in estate, quando gli studenti fuorisede se ne tornano a casa.
Dentro la stazione facciamo un prelievo al bancomat per avere un po’ di fiorini ungheresi in tasca e compriamo subito il biglietto per Zahony, al confine con l’Ucraina. All’uscita ci sono gli studenti che ci aspettano e caricano noi e i nostri bagagli in un minivan che ci porta alla casa dello studente per cui lavorano. Un viaggio breve. Sarà comodo tornare alla stazione la mattina dopo. Dopo aver buttato le valigie sui letti e aver fatto due chiacchiere con lo studente alla reception, usciamo.
Non abbiamo idea di dove andare, abbiamo con noi una mappa molto generica. Cammina cammina, attraversiamo il Danubio e decidiamo di entrare alle terme, un classico da queste parti. Bell’ambiente, molto elegante. Noi si paga poco e si gode anche poco ma tanto non avremmo avuto il tempo di fare molto di più. Appena uscito, mi chiama il mio contatto locale. La ragazza è delusa quando le dico che ho cambiato programmi. Sorry baby, dovevi tirartela meno.
La sera passiamo qualche minuto a guardare un artista di strada che suona bicchieri d’acqua variamente riempiti. Marco si siede, appoggia il portafogli fra i piedi e chiama a casa con il cellulare. Alla fine della telefonata si accorge che gli hanno rubato il portafogli. Così deve richiamare un’altra volta a casa, questa volta chiedendo che gli mandino un po’ di soldi. Comunque, l’entusiasmo resta alto.
Due
La mattina ci alziamo e raggiungiamo la stazione a piedi. Il treno per Zahony è in orario, tutto liscio. La mossa di andare a Zahony ci è stata suggerita dai contatti a Kiev e dintorni, per risparmiare. Facendo sosta a Zahony non usiamo un treno internazionale per passare il confine, utilizziamo invece solo treni locali, più economici. La frontiera fra Ungheria e Ucraina c’è anche chi la oltrepassa in motorino, qualcuno anche a piedi.
Arrivati a Zahony facciamo il biglietto per Chop, la cittadina di là del confine in Ucraina. Ancora prima di uscire dalla stazione siamo avvicinati da tassisti di vario genere che addirittura si offrono di ricomprare il nostro biglietto del treno se passiamo la frontiera con loro. Non capiamo bene la logica di questo giochino e per paura di prendere un pacco decliniamo l’offerta.
Il trenino per passare il confine è composto da una locomotiva e una carrozza, in pessime condizioni. I sedili sono tutti strappati e ricuciti alla meglio. C’è da aspettare un bel po’ e la polizia trova il tempo per controllarci minuziosamente i documenti, con fare bieco.
Finalmente si parte. Attraversiamo un bosco e arriviamo in Ucraina, alla stazione di Chop. Con la videocamera riprendo l’arrivo alla stazione. Un militare mi vede e mi fa subito segno di andare da lui. In sostanza, non posso fare riprese della stazione di confine, perché luogo militarmente sensibile. Una panzana ma non riesco a gabbare il solerte funzionario che mi costringe a cancellare la sequenza incriminata.
Alla dogana ci chiedono di riempire dei fogli indicando dove dimoreremo in Ucraina. Siccome non lo sappiamo di preciso, scriviamo il nome di un grand hotel di Kiev. Le doganiere si fanno una gran risata e ci fanno passare.
Tre
Chop è un paesino deserto. In strada non c’è quasi nessuno. Entriamo in quella che ci sembra una banca o un’agenzia di cambio per procurarci un po’ di grivnie, la valuta locale. Tiro fuori 50 euro e all’impiegata cominciano a brillare gli occhi, un sorriso grosso come una casa le spalanca la bocca. Sembra la persona più felice di questo mondo. Evidentemente in questo piccolo posto di frontiera non ne vedono molta di valuta pregiata e il cambio che ci offrono è anche molto buono.
Andiamo a comprare il biglietto ferroviario per arrivare a Kiev. Scopriamo che la lunga sosta a Zahony ci ha fatto sì risparmiare qualcosa ma ci ha anche fatto perdere la coincidenza per Kiev. Passare la notte a Chop sarebbe un disastro. Mi agito con l’impiegata allo sportello ma tanto non ci capiamo e lei non fa altro che ripetere “no Kiev”. Marco ci vede poco da vicino ma da lontano è un falco e nel piccolo monitor della signora riesce a leggere che ci sarà un treno per Kiev in serata. Va bene, prendiamo quello. Ci sarà da aspettare una mezza giornata. Dopotutto si sapeva: questo è un viaggio lento.
Girando per Chop troviamo un internet point, dove vi sono riuniti tutti i giovani di Chop, che invece di starsene all’aria aperta e al sole si connettono virtualmente con il resto del mondo. In una mezz’ora comunico via e-mail ai miei contatti il cambio di programma. Sembra tutto a posto. Usciamo per cercare un posto dove mangiare. Le strade sono messe male e il trolley di Marco si rompe subito, una seccatura ma riusciamo in una riparazione di fortuna. Il resto del tempo lo passiamo seduti a un bar, non c’è altro da fare.
Arriva finalmente l’orario della partenza. Saliamo sul treno e scopriamo che divideremo la cuccetta fino a Kiev con Xinia, una bellissima ragazza ucraina, una sorta di angelo sceso in terra. Per facilitare l’approfondimento della conoscenza, Marco utilizza una delle bottiglie di Martini che si è portato da Firenze ma i risultati non sono all’altezza delle attese.
Quando ci svegliamo la mattina dopo Xinia è di buon umore e chiacchierona. Ci racconta che lavora in un beauty saloon di Kiev, che è separata e madre di un figlio: una ragazza madre, un classico dell’Ucraina. Il tempo necessario a raggiungere Kiev lo ammazziamo insegnando noi a lei un po’ di italiano e lei a noi un po’ di russo, oppure ucraino, non ne siamo sicuri.
Quattro
A Kiev ci attende il comitato di accoglienza: la conoscente che ospiterà Marco è un altro angelo sceso in terra. Io sono preso in carico dalle testimoni di nozze della moglie di un amico che avevo accompagnato da queste parti qualche mese prima per il suo matrimonio, in occasione del quale avevo fatto un discorso strappalacrime. Andiamo a cena, dopodichè io e Marco ci salutiamo. La notte la passo a casa di Katerina. Il giorno dopo mi devo arrangiare per comprare il biglietto ferroviario per Mosca. Katerina mi scrive un biglietto in cirillico da mostrare al conducente dell’autobus e mi saluta. Io salgo un po’ titubante e mostro il biglietto. Il conducente non dice nulla. Dopo qualche fermata mi fa cenno di scendere e mi indica un palazzo, che non è la stazione, comunque vado. Inizialmente mi perdo, poi riesco a trovare un salone dove vendono biglietti ferroviari. Sulle prime l’impiegata sembra incapace di intendere qualsiasi parola di inglese ma insistendo la cosa si sblocca e finalmente mi procuro il biglietto. Anche questa è fatta.
La sera Svetlana mi porta a Chernigov, dove passo un fine settimana piacevole e intervisto un’anziana contadina nel quadro di un mio vago progetto cinematografico. Le sere le passo con gli amici di Svetlana, bevendo e giocando a carte. Fa parte della compagnia anche un giovane brasiliano che non sapendo dove andare a sbattere la testa nella vita è finito a Chernigov.
Il giorno della ripartenza per Mosca, Svetlana mi riporta a Kiev e poi va a lavorare. Io mi incontro con Marco e ci sediamo a un bar a prendere un caffè. Dopo un po’ notiamo che vicino a noi è seduto un tipo vestito un po’ tamarro. Si presenta, è italiano. Il tipo ci racconta cosa ci fa lì: è in attesa. In attesa che arrivi qualche donna ben disposta. Dopo cinque minuti arriva una ragazza molto bella che si siede a un tavolino vicino al nostro, ordina un caffè e mi squadra. Con tutta la buona volontà, è veramente impossibile dare soddisfazione alla giovane, che dopo un po’ si alza stizzita e se ne va.
Alla stazione saluto definitivamente Marco, che si trattiene a Kiev. Durante la mia breve permanenza in Ucraina è scoppiata la guerra fra la Russia e la Georgia in Ossezia e Abcasia. Sul treno condivido la cuccetta con un tipo che lavora per una multinazionale di apparecchiature elettroniche, la quale ha deciso di convocare a Mosca tutti i responsabili dell’area al fine di elaborare una strategia per recuperare il materiale presente in Georgia. È molto preoccupato: teme di essere quello che sarà scelto per andare sul posto e coordinare le operazioni. Gli auguro di no. Anche questa volta la polizia doganale si presenta a notte fonda, non ne posso più.
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