Quarta parte del racconto di viaggio di Massimo Bani (www.traduttorefirenze.it). Prosegue il viaggio. I giorni passano tra incontri, soste e trovare il modo di passare il tempo. Fino ad arrivare al confine con la Mongolia.
Undici
Nella carrozza ci sono alcuni avvicendamenti. Salgono
dei giovani militari russi anche loro diretti a Irkutsk per passarci una
vacanza. Si crea subito un feeling fra loro e gli slovacchi e i tedeschi,
fondato sull’uso estremo di alcol. Con uno di questi militari, che si presenta
come un numismatico collezionista, scambio un euro con una patacca che mi si
dice essere una moneta russa di conio speciale. Chissà dov’è andata a finire.
Dopo qualche giorno di treno perdiamo completamente la
cognizione del tempo. Sul treno vige l’orario di Mosca e il tabellone di marcia
fa riferimento a quello. In realtà stiamo attraversando diversi fusi orari ed è
praticamente impossibile sapere l’ora dei luoghi che attraversiamo. La scarsa
attività fisica e mentale stravolge l’appetito e le attività fisiologiche. Si
dorme e si mangia a sprazzi, a volte per noia. Riscuotono quindi successo anche
i mercatini notturni, perché fondamentalmente è sempre l’ora giusta per vodka,
pivo e piroshki con kartoshka o kapusta.
La notte capita spesso di passare nei pressi degli
innumerevoli siti industriali disseminati in tutta la Siberia. Le vampe degli
alti sfiati delle raffinerie tingono di rosso pastello la notte e delineano la
sagoma dei vagoni dei moltissimi treni merce che scorgiamo incrociandoli su
binari poco distanti dal nostro.
Nel corso delle fermate più lunghe, quelle di circa
mezz’ora mi allontano dal treno, a volte mi spingo fino all’uscita della
stazione. È un po’ un rischio perché nelle stazioni più grandi i binari sono
molti e i treni si assomigliano tutti. Devo fare attenzione a non sbagliare
binario e a ritornare nei pressi del treno giusto con un minimo di anticipo. Ma
non ne posso fare a meno. La curiosità mi assale e mi chiedo perché non vado a
vedere, perché non vado a perdermi in una di queste città siberiane, forse solo
per un po’, andando incontro ancora più impreparato all’inatteso, all’ignoto,
dovendomela cavare in qualche modo, affidandomi alla qualità che più di ogni
altra mi appartiene: l’essere una persona in mezzo ad altre persone, che per
forza di cose condividono con me i sentimenti umani più profondi. Per quello
che in questi giorni ho vissuto, per quello che ho veduto, io sento che
troverei una nuova strada, misteriosa, affascinante, lungo la quale incontrerei
e darei amore.
Ecco cosa scrive Filippo della mia scappatella a
Nizhneudinsk:
«Fermata di un quarto d’ora a Nizhneudinsk. Si scende.
I quindici minuti passano e Tamara (dell’equipaggio) ci invita a risalire ma mi
trattengo perché Massimo è andato a fare due passi e non l’ho visto tornare. La
banchina del nostro treno è oramai vuota e comincio a preoccuparmi. Controllo
nello scompartimento e non c’è, provo a chiamarlo al cellulare che risulta non
raggiungibile. Anche Andrej (dell’equipaggio) e i due giovani militari russi
sono preoccupati e iniziano a urlare “italianzj” o qualcosa di simile. Siamo
tutti sul treno che inizia a muoversi. Mi affaccio al finestrino e non c’è più
nessuno. Provo comunque a chiamare Massimo ma senza risposta. Inizio a risalire
il treno e per fortuna al primo vagone dopo il nostro incontro Massimo che era
salito qualche carrozza più in su. Sospiro di sollievo, perdersi adesso sarebbe
stato un bel casino. Mi ero già visto mentre tiravo il freno a mano e magari
venivo anche arrestato.»
Dodici
Ci avviciniamo a Irkutsk. Io ho cercato di mantenere
il ritmo del fuso orario di Mosca per assorbire la levataccia dell’arrivo a
Irkutsk, previsto per le 3 del mattino, e aggredire come una tigre la ricerca
notturna dell’ostello prenotato da Mosca. Dopo aver spaccato il minuto per 4
giorni, il treno resta fermo per un paio d’ore alle porte di Irkutsk. Quando
scendiamo è ancora notte fonda e siamo a pezzi, la mia preparazione si è
dimostrata completamente sbagliata. Non sappiamo come muoverci. Alcuni compagni
di viaggio decidono di aspettare l’alba e poi muoversi con calma. Noi ci
affidiamo a un tassista che percorre rapido le strade deserte piene di buche.
Giungiamo all’ostello e subito ci dirottano da un’altra parte. Arriviamo
finalmente alla destinazione finale. Il tassista ci chiede 500 rubli, sul
momento ci sembrano un’esagerazione ma facendo il conto sono circa 15-20 euro,
direi che ci ha salvati.
I due giorni passati a Irkutsk sono da dimenticare. Il
tempo non è molto buono e non riusciamo a prendere parte alle lunghe escursioni
sul Bajkal che richiederebbero un’altra levataccia, cosa per noi impossibile:
siamo molto stanchi e si riposa male perché i letti dell’ostello sono durissimi
e c’è un viavai continuo di gente anche la notte. Forse sarebbe stato meglio stabilirsi a Listvjanka, che è
proprio sul lago, ma ormai è andata così. Lena, la bella ragazza che
presidia l’ostello, ascolta Celentano e fa dei gran sorrisi, ci spiega come
procurarci il biglietto per Ulaan Baatar. All’Intourist Hotel c’è uno sportello
delle ferrovie, dove l’impiegata molto gentile ci avverte che il viaggio sarà
molto lungo: 36 ore. Una durata spropositata per la distanza da coprire.
Scopriremo in seguito il perché. Compriamo il biglietto per Ulaan Baatar e
passiamo il resto di questi due giorni a bighellonare e a prepararci per la
ripartenza. In ostello, alla sera guardiamo le olimpiadi in TV, soprattutto la
pallavolo, torneo in cui la Russia sta andando forte, il telecronista è
scatenato. Sul tardi provo ad approfondire la conoscenza di Lena ma qualsiasi
tentativo è impedito da un altro ospite israeliano chiacchierone a cui un anno
in più di militare non avrebbe fatto male.
Tredici
Finalmente si riparte. Decidiamo di raggiungere la
stazione a piedi. Sarà un’altra sfacchinata. C’è molta gente alla stazione,
forse tutti vogliono scappare da Irkutsk. Saliamo in carrozza e dopo poco
scopro che nello scompartimento accanto al nostro c’è una ragazza sudcoreana
molto carina. La invito a cenare con noi ma declina. In seguito faccio la
conoscenza di un londinese che capisco sta facendo il filo alla sudcoreana già
da alcuni giorni prima, quando si erano conosciuti nei pressi del Bajkal.
Partiamo che è quasi notte e costeggiando il lago Bajkal godiamo di una luna
piena splendida che si riflette nelle sue acque. Arriviamo fino a Ulan Ude e
poi andiamo giù verso il confine mongolo.
La mattina scopriamo che il treno è pieno di gente,
molta di più rispetto alla sera prima. Non capiamo quando, un gruppo di
pensionati tailandesi è salito e ha occupato gran parte degli scompartimenti.
Sono molto organizzati e gentilissimi. Ci offrono in continuazione roba da
mangiare. Insistono parecchio ed è difficile rifiutare, ma è veramente troppo e
qualcosa lo buttiamo direttamente nel cestino.
Arriviamo al confine. Si scende perché è necessario
cambiare treno per il diverso scartamento dei binari. Intorno ci sono dei
giardinetti dove un chiosco vende degli ottimi pirosky. Per il resto non c’è
nient’altro da fare, se non aspettare. Per ammazzare il tempo, il londinese
propone attività vagamente oscene alla sudcoreana, che resiste. Arrivano altri
treni e altra gente scende e si mette ad aspettare come noi. Fra questi anche
il gruppo di americani casinisti con cui avevamo convissuto nel primo ostello
di Mosca. Tanto per cambiare sono alticci e uno di loro attacca una polemica
con la polizia ferroviaria che sta controllando i documenti a tutti. A un certo
momento giunge l’ordine di risalire tutti sul treno e nessuno potrà più
scendere. La polizia è veramente arcigna. Nel nostro scompartimento sostano per
un po’ un mongolo con la figlia. Hanno con sé delle valigie che nascondono
sotto i letti, forse è roba di contrabbando. L’attesa si prolunga. Ormai sono
sei ore che siamo fermi al confine. L’atmosfera nel treno comincia a farsi
davvero tesa, a causa del nervosismo per l’attesa snervante, la stanchezza e i
bisogni fisiologici che non è possibile espletare in stazione. I finestrini
sono chiusi e l’aria è pesante. Questo sadismo della polizia è veramente
incomprensibile. Forse ci sono in ballo cose serie di cui noi non siamo a
conoscenza.
Finalmente si parte, è quasi buio. Abbiamo la fortuna
che nella nostra stessa carrozza si sistema un gruppo di giovani turisti di
varia provenienza, tutti simpatici e cordiali. Organizziamo una cenetta
internazionale con successive grandi bevute di vodka, osservando i riti
propiziatori di vari paesi. Entriamo in Mongolia.
(fine quarta parte)
Testo e immagini: Massimo Bani - www.traduttorefirenze.it
Diaro di Viaggio: dall'Italia alla Siberia. Le puntate precedenti:
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